Archivio mensile:gennaio 2013

Il castello in aria

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In Italia abbiamo così tanti tesori storici e artistici che, paradossalmente, tendiamo a sottovalutarli: ci sono posti in Italia che i turisti stranieri conoscono meglio di noi.

Uno di questi è il monastero fortificato della Sacra di San Michele a Sant’Ambrogio, all’imboccatura della Val Susa, nei pressi di Torino.

In una domenica fredda come quella appena trascorsa, la prima idea che viene in mente è quella di cercare calore e distrazione in un centro commerciale, finendo per arrivare a casa più frastornati di prima, pronti per iniziare con un broncio perfetto l’ennesimo lunedì sgradito.

Ma ecco che basta salire un pochino, e tutto cambia. La città non si vede quasi mai dalla cima del Monte Pirchiriano, dove la massiccia abbazia fortificata di pietra millenaria sembra librarsi leggera nel vuoto.

Il paesaggio intorno è avvolto in una lieve foschia, che attutisce i rumori del mondo sottostante e accentua l’impressione di trovarsi in un magico angolo dove il tempo si scorda di passare, ma non disdegna di fermarsi.

L’atmosfera ricorda molto “Il nome della rosa” di Eco: non a caso proprio questo luogo ha ispirato in parte il romanzo, ed era stato proposto per l’ambientazione del film.

La Sacra è uno dei tre principali santuari dedicati all’arcangelo Michele in Europa: rispetto a Mont-Saint-Michel in Normandia e a San Michele Arcangelo nei pressi di Foggia, si trova perfettamente allineata e distante 1000 chilometri da entrambi i luoghi. sanmicheleI tre santuari tracciano idealmente un’enorme freccia che dal Nord Europa punta verso la Terra Santa, meta del pellegrinaggio che era un caposaldo della cultura e della spiritualità medioevale.

La Sacra fortezza fu fondata alla vigilia dell’anno 1000, e poi notevolmente ampliata nei secoli successivi, proprio per accogliere i pellegrini che compivano il lunghissimo viaggio lungo la Via Francigena. Nel momento di massima espansione, nell’abbazia vivevano fino a cento monaci benedettini.

Tra il ‘500 e il ‘600, il declino della cultura del pellegrinaggio, la corruzione interna e le razzie dei soldati di passaggio portarono il santuario all’abbandono, nel quale rimase per due secoli.

Nel 1836, i Savoia vollero riportarlo alla vita affidandolo ai rosminiani.

Attualmente la Sacra è abitata da due monaci, e pur essendo meta turistica dichiarata simbolo del Piemonte, conserva la sua natura sacra e religiosa, ed è proprio questo a rendere indimenticabile una giornata trascorsa qui.

Il santuario è raggiungibile sia a piedi che in macchina. Da qui parte il Sentiero dei Franchi, noto agli appassionati di escursionismo.

Giunti ai piedi della scalinata che conduce alla chiesa, incontriamo l’Arcangelo ritratto in una statua di bronzo di fattura contemporanea, con una mano aperta verso il cielo in un gesto di accoglienza, e l’altra rivolta verso la terra, pronta a impugnare di nuovo la spada che ha conficcato nel terreno dopo aver sconfitto il male. Curiosamente, questo atteggiamento delle mani si ritrova nel ballo tradizionale dei monaci musulmani detti Dervisci rotanti.

In una nicchia naturale nella roccia viva, alcuni arbusti di rosa riescono a superare l’inverno e sono già carichi di piccoli germogli rossi.

Saliamo la ripida scalinata, ma all’entrata di quella che crediamo la chiesa ci aspetta un’altra salita, vertiginosa in ogni senso possibile: è lo Scalone dei Morti. Più che una semplice scala, una scultura di cui chi sale entra a far parte, e che rappresenta la risurrezione a nuova vita attraverso la Fede.

Ai lati, dal pavimento e dalle pareti, spunta da ogni parte la roccia viva del monte. Al centro, un enorme pilastro sorregge il peso della chiesa che si trova sopra di noi. In alcune nicchie scavate nel muro, fino a pochi decenni fa erano esposti gli scheletri dei monaci defunti da tempo, per dire ai vivi che questa vita non è per sempre e non è tutto. La salita è così ripida, il luogo così inquietante, che si ha l’impressione di poter cadere da un momento all’altro: ma ecco che di fronte a noi si spalanca il portale finemente scolpito detto “Dello zodiaco”, e ci accorgiamo che stiamo andando verso la luce del giorno, così forte da abbagliarci. Un’esperienza molto simile a quella che nell’immaginario collettivo rappresenta il trapasso. E cosa troviamo al di là? Un arrivo, una fissità, una fine? Niente affatto: la scala prosegue all’aperto, la vita continua, sotto una magnifica struttura a contrafforti, ariosa e molto suggestiva anche se non originale.

L’interno della chiesa (finalmente) presenta un misto tra lo stile romanico e lo stile gotico, unificati da una sobrietà che si addice alla natura mistica del luogo. Un canto gregoriano in sottofondo ci riporta le voci dei monaci che ogni mattina attendevano pregando il sorgere del sole, e come loro ci sediamo rivolti verso la grande finestra dell’abside ad Est. Niente oro, niente pomposi candelabri, niente sfarzo: la luce del giorno è l’unico ornamento di questa chiesa. Fatta eccezione, certo, per alcuni bellissimi e sobri affreschi di epoca rinascimentale alle nostre spalle.

All’uscita dalla chiesa si possono vedere i resti in rovina di quello che era un grande complesso a quattro piani dove i monaci vivevano, lavorando e producendo quasi tutto ciò di cui avevano bisogno.

Una torre aperta a metà resiste, quasi sospesa sull’abisso che ci separa dal mondo. E’ detta la torre “della Bell’Alda” per via di una leggenda interessante. In tempi di guerra la gente dei borghi circostanti trovava ospitalità e sicurezza presso l’abbazia fortificata. Tra loro c’era una bellissima ragazza di nome Alda, inseguita da un soldato di ventura che voleva abusare di lei. Giunta in cima alla torre, si rese conto che non aveva scampo e che l’unica via di fuga era il finestrone che dava sul vuoto. Pregando San Michele di soccorrerla, la ragazza si gettò  fuori e trovò due angeli che la presero e la posarono delicatamente in fondo alla scarpata. Esaltata dall’avventura vissuta, la bella Alda andò per il paese vantandosi di ciò che le era accaduto e volle replicare il tuffo per poter essere stavolta vista da tutti. Come era prevedibile, gli angeli non si scomodarono per una cosa così futile, e la ragazza vanitosa si sfracellò tra le rocce.

Dopo aver ascoltato dalla guida questa favola, che come tutte le favole contiene un po’ di verità, siamo pronti per tornare rigenerati alla vita di tutti i giorni.

Non prima però di vedere ciò che riassume magnificamente e fissa nella nostra memoria la spiritualità di questo luogo: la mostra fotografica di Franco Borrelli dedicata proprio alla Sacra, frutto di un anno di osservazione, sensibilità, pazienza, lavoro e abilità.

Nelle foto dell’artista, il cielo è più grande della terra, la luce è protagonista, la bellezza è nella semplicità e ogni cosa è guardata da un’angolazione inconsueta: è il mondo visto da chi cerca e trova Dio.

Il conflitto tra razionalità ed emozioni: John Preston e Mary O’Brian

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Un film, in poco tempo e con grande efficacia, è in grado di veicolare significati profondi, e perfino di illustrare in modo chiaro concetti di psicologia anche molto complessi. Il fatto che si apprendano queste nozioni senza leggerle su un tomo specialistico non significa che non possano entrare a far parte del nostro bagaglio di conoscenza, diventando così strumenti attraverso cui possiamo leggere meglio la realtà che ci circonda.

Ciò è talmente vero che più di una volta, durante le lezioni universitarie di psicologia, allo studio e alla spiegazione di un determinato argomento il docente ha accompagnato la visione di un film sul tema.

In una serie di articoli vorrei quindi guidarvi alla scoperta di nozioni psicologiche utili nella vita relazionale di ognuno di noi, attraverso l’analisi di personaggi cinematografici.

NON SI TRATTA DI RECENSIONI di film, bensì dell’illustrazione di una coppia di personaggi. Solitamente ci saranno il protagonista e il suo complementare, senza il quale l’analisi del protagonista stesso sarebbe soltanto parziale: tutto l’universo funziona per coppie di opposti-complementari, essendo questi due concetti inseparabili.

Film: Equilibrium (2002)                      Equilibrium

Interpreti: Christian Bale e Emily Watson

Doppiatori italiani: Riccardo Rossi ed Eleonora De Angelis

Siamo in un futuro distopico in cui, in seguito alla catastrofe di una terza guerra mondiale scoppiata nei primi anni del ventunesimo secolo, si è instaurato un regime dittatoriale con sede nella città-stato di Libria.

Il solo caposaldo su cui si regge questo governo è l’eliminazione di ogni sentire umano, nella convinzione che le emozioni e i sentimenti siano la causa delle guerre: pur di evitare il ripetersi della catastrofe passata è necessario e giusto sacrificare anche la gioia, l’amore, la compassione e l’amicizia, per poter stroncare la rabbia, l’avidità, il dolore e l’invidia.

Il regime mette in atto la soppressione dei sentimenti distruggendo sistematicamente qualsiasi cosa capace della più piccola evocazione emotiva, e obbligando i sudditi ad assumere regolarmente un potentissimo psicofarmaco che li inibisce, il Prozium.

Così, a Libria sono bandite cose come i colori, i libri, la musica, la parola “papà”, l’arte, gli animali domestici e ogni forma di bellezza. Fuori da Libria, le rovine del mondo così come lo conosciamo sono chiamate “l’inferno” e sono oggetto di continue irruzioni da parte dei Cleric, un corpo di polizia che ha il compito di distruggere ogni oggetto proibito dal regime e di catturare e uccidere i ribelli, ovvero i “colpevoli di emozioni” che portano avanti una resistenza organizzata contro il regime.

Tra i Cleric di rango più alto c’è appunto John Preston, stimatissimo dai colleghi e dal regime per abilità, spietatezza e inflessibilità. L’uomo ha due figli ed è vedovo: quattro anni prima, infatti, sua moglie è stata arrestata e bruciata viva semplicemente perché amava suo marito, senza che tutto ciò suscitasse in lui la minima reazione emotiva.

Una mattina, John infrange inavvertitamente la fiala di Prozium che stava per iniettarsi e va al lavoro senza essersi impermeabilizzato alle emozioni. Lui e i colleghi fanno irruzione in casa della bella Mary O’Brian, ribelle, colpevole di emozioni e collaboratrice della resistenza, e la arrestano.

Dopo questo incontro, il protagonista continua di nascosto a non prendere il Prozium. Nei giorni successivi, il suo atteggiamento nei confronti delle regole che sono sempre state la sua ragione di vita diventa ambivalente, mentre il suo essere viene a poco a poco travolto da un angosciante trionfo di emozioni: il rimorso per la morte della moglie, il senso di colpa per le uccisioni da lui compiute in nome del regime, la tenerezza per un cucciolo di pastore bernese salvato nel corso di una retata… fino al pianto dirotto e liberatorio suscitato in lui da quello che è evidentemente il primo ascolto di un brano musicale in vita sua. E, ultima ma non ultima, l’attrazione invincibile per la donna che ha innescato in lui un totale capovolgimento interiore.

Quello che doveva essere un interrogatorio diventa una sottile battaglia in cui ognuno dei due protagonisti cerca di scoprire l’altro, e che vedrà lei sicura e vittoriosa, lui perdente e più confuso che mai di fronte alla frase che riassume il senso del film:

“Senza amore, senza rabbia e dolore, il respiro è solo un orologio che fa tic tac.”

Da qui in poi, l’orologio dello spettatore scandisce solo il ritmo della trasformazione del protagonista da eletto del corpo di polizia del regime in eroe della resistenza, in un pericoloso doppio gioco che potrete godervi senza il mio commento.

L’ambientazione fantascientifica del film è solo una metafora che ci parla di una situazione fin troppo reale. Ognuno di noi potrebbe trovarsi nella vita reduce da una “guerra mondiale” come quella che ha dato inizio alla vicenda del film: la fine di un amore, la morte di una persona cara, una forte delusione da parte di un amico.

Può essere grande, allora, la tentazione di instaurare dentro di noi un regime come quello di Libria: bandire tutti i sentimenti, mettere in circolo un antibiotico psichico pur di liberarsi dalla rabbia e dal dolore, pur di proteggerci da noi stessi e dal mondo.

Il nostro Prozium può essere il lavoro su cui ci buttiamo con tutte le nostre energie, le avventure sessuali senza significato, l’alcol o qualsiasi cosa ci aiuti a non pensare, a non sentire, ad allontanare l’accaduto dalla nostra mente e “non ricascarci”. Possiamo distruggere come oggetti proibiti tutti i ricordi che ci riportano all’accaduto, lasciando la nostra psiche come la cattedrale in rovina all’inizio del film.

Ma se pure non soffriamo più, nemmeno noi al posto di John sapremmo rispondere alla domanda di Mary: “Perchè vivi?”

La casa grigia, spoglia e impersonale come quelle Libria nella quale abbiamo traslocato il nostro cuore non è una vera casa, questa vita non è una vera vita.

Inevitabilmente incontreremo anche noi Mary: lei si nasconde (ma solo perché vuole essere trovata) in un nuovo amore, in un’amicizia, nei nostri figli, in tutto ciò che ci circonda, perfino nel tempo.

Arriverà quando meno la aspettiamo, oppure ci renderemo conto che è sempre stata di fronte a noi: a quel punto, lasciamo che questo incontro o questo ri-incontro ci cambi: interroghiamola e lasciamoci interrogare.

Allora, come il protagonista, ricominceremo a toccare il mondo senza guanti, torneremo a guardare fuori dalla finestra, ci emozioneremo guardando la neve che cade sulla Tour Eiffel in una boccia di vetro… in una parola, ci ribelleremo piano piano al regime che ci siamo auto-imposti.

Sarà doloroso, sarà pericoloso, sarà faticoso, sì, molto. Restare a Libria invece non sarà un rischio: sarà una certezza di essere condannati.

E alla fine, dopo aver tanto combattuto, potremo tornare ad amare, a sorridere e a fidarci della vita.

Il pensiero laterale e il pensiero lineare: Hercule Poirot e Arthur Hastings

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Un film, in poco tempo e con grande efficacia, è in grado di veicolare significati profondi, e perfino di illustrare in modo chiaro concetti di psicologia anche molto complessi. Il fatto che si apprendano queste nozioni senza leggerle su un tomo specialistico non significa che non possano entrare a far parte del nostro bagaglio di conoscenza, diventando così strumenti attraverso cui possiamo leggere meglio la realtà che ci circonda.

Ciò è talmente vero che più di una volta, durante le lezioni universitarie di psicologia, allo studio e alla spiegazione di un determinato argomento il docente ha accompagnato la visione di un film sul tema.

In una serie di articoli vorrei quindi guidarvi alla scoperta di nozioni psicologiche utili nella vita relazionale di ognuno di noi, attraverso l’analisi di personaggi cinematografici.

Nonostante si tratti ovviamente di film che ho apprezzato e che consiglio, NON SI TRATTA DI RECENSIONI, bensì dell’illustrazione di una coppia di personaggi. Solitamente ci saranno il protagonista e il suo complementare, senza il quale l’analisi del protagonista stesso sarebbe soltanto parziale: tutto l’universo funziona per coppie di opposti-complementari, essendo questi due concetti inseparabili.

Cercherò per quanto possibile di non spoilerare il finale del film, o comunque l’esito della storia per i personaggi in questione: nei casi in cui questo non mi sarà possibile, l’articolo sarà preceduto da uno spoiler alert, e la patata bollente passerà a voi.

Film: serie TV realizzata a partire dal 1989 e tutt’ora non terminata, consistente finora in 65 episodi tratti dai romanzi e dai racconti di Agatha Christie.

Interpreti: David Suchet (Poirot) e Hugh Fraser (Hastings)

Doppiatori italiani: Eugenio Marinelli e Luigi La Monicapoirot&hastings

In ogni episodio, il celebre investigatore privato ormai in pensione ed il suo amico e socio si trovano, loro malgrado, a indagare su uno o più omicidi (più raramente si tratta solo di un furto o di un rapimento).

Siamo per lo più nell’Inghilterra-bene degli anni trenta e quaranta, dove i soldi e la reputazione sono tutto: ereditare può essere l’unico modo di mantenere il proprio alto tenore di vita, il giudizio della gente e i pettegolezzi condizionano pesantemente la vita di tutti, un figlio illegittimo o una relazione extra-coniugale possono diventare uno scandalo sociale assolutamente inaccettabile, i matrimoni combinati non sono cosa strana. Insomma, siamo in un mondo dove i più gretti moventi per uccidere abbondano.

Inoltre, l’assenza delle tecnologie odierne rende il “gioco” molto più facile ai criminali e più difficile alla polizia: cambiare identità, eliminare prove, alterare la scena del delitto e nascondere fatti importanti sono cose fattibili con una facilità oggi inimmaginabile. Solo l’abilità dell’investigatore  può portare a identificare il colpevole, il che in alcuni casi significa salvare la vita ad altre potenziali vittime.

I due approcci alla indagini usati dai due personaggi sono una perfetta esemplificazione dei possibili atteggiamenti di fronte a una situazione o ad un problema:

  • Il pensiero lineare o convergente, messo in atto da Hastings: rilevati pochi fatti che saltano all’attenzione con evidenza, ne deduce l’ipotesi più ovvia e logica, dopodiché cerca nei dati che emergono successivamente una conferma al suo giudizio iniziale.Si concentra su una visione parziale e semplificata del quadro, considera “distrazioni” i dettagli e giunge in fretta ad una propria soluzione.Si basa sulle proprie impressioni nei confronti degli imputati e ragiona talvolta per stereotipi, finendo spesso, nella seconda metà del film, per ritrovarsi con un pugno di mosche di fronte a nuove informazioni incompatibili con la sua versione, nelle quali non sa trovare una nuova chiave di lettura, ma soltanto un vicolo cieco dal quale la logica non riesce ad uscire.Nelle indagini, va alla ricerca diretta di ciò che gli interessa, attraverso domande trasparenti che il sospettato può facilmente eludere.Hastings incarna il senso comune, ed è in un certo senso un alter ego del pubblico, il quale infatti molto spesso si trova d’accordo con la sua ipotesi: senonché, dopo la visione di due o tre episodi, lo spettatore capirà che nel momento in cui una soluzione viene proposta da Hastings, può essere certo che non sarà quella giusta! Tutto ciò dà un risvolto comico al personaggio, che alleggerisce la drammaticità dei temi trattati e nel contempo stimola lo spettatore a tentare l’altra strategia, quella di Poirot.
  • Il pensiero laterale o divergente, messo in atto dal brillante Poirot: di fronte ad un enigma apparentemente insolubile, apre la mente ad ogni possibilità o come dice lui, “fa lavorare le celluline grigie”.Trae indizi di cruciale importanza da dettagli apparentemente inutili e insignificanti, che fa alla fine rientrare tutti nella ricostruzione veritiera dell’accaduto.
    Spesso alcuni personaggi si rivelano essere impostori che si fingono qualcun altro, oppure si scoprono avere un nesso sconosciuto con un altro personaggio: genitori e figli, amanti, ex tate, ex colleghi di lavoro o altro. Talvolta l’odio è in realtà amore celato, l’amore è una finzione che nasconde indifferenza, l’indifferenza è la copertura di un profondo legame. In alcuni casi si giunge ad un completo ribaltamento delle posizioni tra vittime e assassini. Solo l’intuizione di Poirot scopre tutti questi risvolti insospettabili.Questo si rende possibile quando l’intelligenza si spinge al di fuori da quello che per logica sembra un recinto senza uscita, prescinde dall’evidenza, cerca strade dove non sembrano essercene, genera grandi idee da piccoli elementi.Poirot indaga in modo indiretto, facendo per così dire un giro largo intorno alla verità fino a sorprenderla alle spalle: sposta l’attenzione dell’interrogato con domande apparentemente superflue e innocenti di fronte alle quali l’altro non si difende, rivelando involontariamente un indizio di colpevolezza; giunge talvolta a ingannare i sospettati escogitando messinscene molto ingegnose e ardite (finte accuse, finte morti, molteplici versioni dei fatti ad uso di diversi sospettati…) di fronte alle quali la reazione del colpevole lo smaschera come tale.A questa capacità di sconfinamento ed evasione si accompagna però un estremo rigore metodologico, che in alcuni aspetti caratteriali del personaggio assume proporzioni eccessive e talvolta comiche: l’anziano investigatore presenta infatti evidenti tratti ossessivo-compulsivi. Essi si mostrano nel suo assoluto bisogno di ordine, nella sua esasperata avversione per la minima sporcizia e nella sua cura maniacale del proprio aspetto.

Ogni episodio si conclude con una riunione di tutti i personaggi, convocati da Poirot stesso allo scopo di rivelare l’intera ricostruzione dei fatti, alla quale segue l’arresto del colpevole da parte della polizia e una scena di distensione e ritrovata serenità per tutti gli altri.

Per concludere, il pensiero laterale è l’essenza della creatività in ogni senso, tanto per la risoluzione di problemi, quanto per l’arte e l’espressione.

Ma come si ottiene questa abilità mentale tanto meravigliosa e produttiva, che consente di ragionare e creare ad un livello superiore?

Come per la maggior parte delle cose, si tratta di allenamento. Esistono giochi enigmistici appositamente studiati, e la vita stessa ci pone davanti ogni giorno sfide e opportunità che richiedono l’uso del pensiero laterale. Scovarle nel lavoro, nell’organizzazione del nostro tempo e nelle relazioni sociali è già un primo esercizio!

VIAGGIO INTORNO ALL’UOMO

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Avete tempo fino al 24 Febbraio per approfittare di un’opportunità più allettante di tutti i saldi del mondo messi insieme: il giro del mondo al prezzo di 12 euro. Si parte all’ora che preferite dal Palazzo Ducale di Genova e lì si torna poche ore dopo, pieni di ricordi, immagini, emozioni e pensieri provenienti da tutta la Terra. StevemccurryIl “mago” che ci dà un passaggio sulla sua mongolfiera è Steve McCurry, uno dei più grandi fotografi contemporanei.

Si possono ammirare circa 200 tra ritratti e scatti di reportage immortalati tra i primi anni ottanta e il 2012 appena terminato, dai più celebri e iconici ad alcuni mai esposti prima.

Alcune tra le foto esposte, tra cui un ritratto di Robert DeNiro, sono state scattate nel 2010 utilizzando l’ultima pellicola Kodak mai prodotta, oggetto che McCurry ha fortemente desiderato per il suo valore di simbolo di un’era della fotografia ormai terminata. Tuttavia, l’altissima definizione propria soprattutto delle foto digitali è al servizio di vere e proprie opere d’arte: oggetti e persone che sembrano avere tridimensionalità e corpo, sguardi che bucano la superficie piatta della carta come se non ci fosse e scrutano direttamente la nostra anima, scene vive come se si stessero svolgendo davanti a noi.

Un’audioguida gratuita racconta il senso e la storia di cinquanta opere particolarmente significative: le ispirazioni e le motivazioni che hanno portato l’artista a catturare proprio quell’immagine, e le circostanze in cui l’ha ottenuta, che vanno dal colpo di fortuna più puro alla pazienza di lunghe ore o giorni di attesa. Le fotografie in cui i soggetti sono propriamente in posa si contano sulle dita delle mani.

Ogni singola immagine rimane impressa come il volto di una persona che è stata importante per noi, anche solo per breve tempo.

La fiabesca Festa dei colori che si celebra in India, monaci tibetani giovanissimi e anziani, fiere popolazioni nomadi, gli orrori della guerra in Kwait, Libano e Afghanistan, il maestoso Taj Mahal: questi temi tanto diversi tra loro sono solo alcuni di quelli su cui l’artista si è soffermato di più durante la sua lunga carriera.

La caratteristica di questo viaggio intorno all’uomo, anzi, è proprio l’esperienza emotiva assolutamente potente che il visitatore vive, attraverso la presentazione di tutte le sfaccettature della natura umana, compresi i suoi estremi.

Bambini con lo sguardo da adulti e adulti con lo sguardo da bambini, cadaveri carbonizzati e ragazze dalla bellezza angelica, ricchezza e povertà, antiche tradizioni e globalizzazione, scene di disperazione e festeggiamenti, istanti rubati di una realtà che sembra sogno o incubo: tutto questo convive nella natura umana.

L’uomo protagonista del viaggio che dà il titolo alla mostra non è soltanto l’altro, il lontano, il diverso che forse non incontreremo mai se non in fotografia, ma siamo anche noi stessi, alla scoperta o alla riscoperta della ricchezza e della complessità delle nostre emozioni.

Si esce da questa mostra consapevoli che l’abisso del male più profondo e le più pure vette della bellezza sono in noi e tutto intorno a noi, più vicini di quanto ci piacesse credere prima.

Non si esce però da questa mostra prima di aver visto, nell’ultima stanza di cui si compone lo spazio espositivo, un documentario che racconta del personale viaggio che ha portato l’artista, dopo molte peripezie, a ritrovare dopo diciassette anni la ragazza ritratta nella sua opera più famosa, incontrata nella scuola di un campo profughi in Afghanistan. Nel 1984, l’espressione indecifrabile della ragazza dagli occhi verdi finì sulla copertina di National Geographic: quell’immagine, quasi una Monna Lisa dei nostri tempi, ebbe un tale impatto da sensibilizzare per la prima volta l’opinione pubblica sulle conseguenze drammatiche dei conflitti etnici in Afghanistan, e perfino da mobilitare un’ingente quantità di spontanee offerte d’aiuto. Il fotografo ha voluto sapere cosa ne era stato di lei, e scoprire finalmente il suo nome. Vi chiedete anche voi queste cose? Non sarò io rispondervi, ma sia questo il centounesimo motivo per andare a vedere questa preziosissima e splendida mostra.

Ecco il link alla pagina internet dedicata, dove si possono anche visionare le opere:  http://www.civita.it/servizio/sala_stampa/steve_mccurry_viaggio_intorno_all_uomo_genova_palazzo_ducale

Professionisti della salute psicologica: un po’ di chiarezza

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Tempo fa scrissi, sempre su questo mio blog, un articolo in cui mi scagliavo non solo contro gli pseudo-professionisti che operano nel campo della salute psicologica senza un’adeguata preparazione, ma anche contro lo stato di generale disinformazione in cui il cittadino spesso viene lasciato.
Adesso cercherò di fare il poco che posso per modificare la situazione: cercherò di fare il punto in modo chiaro e conciso sulle molte professionalità che si occupano di salute mentale, sulle loro caratteristiche, competenze e differenze, cominciando da ciò che conosco più direttamente. Molti di questi professionisti operano in una grande varietà di campi e contesti, ma qui concentriamoci su quello clinico, ovvero la classica seduta, in gruppo o singola, nel privato o nel pubblico.

Lo psicologo: Ha una laurea magistrale in psicologia, ha superato un esame di stato alla fine degli studi per ottenere l’abilitazione alla professione, ed è iscritto all’ordine degli psicologi.
Lo psicologo opera avendo come obiettivo il benessere della persona, e partendo dal presupposto che il paziente non soffre di gravi e pervasivi disturbi psichici, ma si trova semplicemente in un momento di difficoltà dal quale può uscire con un po’ di aiuto.
Il suo unico strumento è la parola, che si esprime soprattutto attraverso il suo complementare, ovvero l’ascolto.
Può però effettuare diagnosi, e quindi usare quasi tutti i test diagnostici, da quelli sulla personalità a quelli sul livello cognitivo.
Nel caso in cui, nel corso dei colloqui o in seguito a questi accertamenti, emergano problematiche più profonde, uno psicologo onesto ha il dovere di ammettere i propri limiti e di affidare il benessere del paziente a un professionista maggiormente o diversamente formato. Lo psicologo non può condurre una vera e propria psicoterapia, e nemmeno dispone di strumenti efficaci per curare alcune tipologie di problemi, come quelli neurologici.
Lo psicoterapeuta: è uno psicologo o un medico che, dopo la laurea, ha frequentato un’apposita scuola di specializzazione riconosciuta dal MIUR della durata di almeno 4 anni.
Esistono moltissime scuole di specializzazione che si rifanno a impostazioni e scuole di pensiero molto differenti: per questo, gli psicoterapeuti operano in molti modi completamente diversi. Se vi siete trovati male con uno, fortunatamente non vale la massima tanto spesso attribuita agli uomini, ovvero che “sono tutti uguali”: provate a cambiare, scegliendone uno che segua una diversa scuola di pensiero, perché probabilmente quella precedente non faceva al caso vostro.
Inoltre, anche il fatto che lo psicoterapeuta sia uno psicologo oppure un medico può influenzare il suo modo di lavorare.
Abbiamo detto che è compito dello psicoterapeuta prendersi cura di pazienti che soffrono di disturbi di una certa entità: questo non significa però che un percorso psicoterapeutico sia riservato a persone “malate”, o che se vi viene consigliata una psicoterapia vuol dire che siete “pazzi”. Questi due termini hanno perso completamente il loro significato stretto, che era legato a una mentalità ormai superata e a una concezione di “terapia” che non aveva nulla, o quasi, a che vedere con la cura della persona. Anzi, un percorso psicoterapeutico è anche un’occasione di conoscenza e miglioramento di sé davvero arricchente e vivificante.
Psichiatra: è un medico che dopo la laurea di base ha conseguito una specializzazione quadriennale in psichiatria, ovvero una tra le tante possibili specializzazioni della facoltà di medicina.
Tra tutte le figure professionali qui elencate, è l’unico autorizzato a prescrivere farmaci. Purtroppo però, spesso per carenza di risorse nel sistema sanitario nazionale, alla pur talvolta necessaria prescrizione di farmaci non si accompagna quell’ascolto e quell’accoglienza che sono altrettanto importanti affinché una persona sofferente possa migliorare la propria condizione.
Qualora l’incontro si riduca a un mero rinnovamento della ricetta precedente e a un generico “come va?”, è molto difficile che un paziente possa realmente guarire: possono ridursi i sintomi, il che è però ben diverso dalla riconquista di uno stato di benessere e serenità.
I farmaci sono necessari nei quadri sintomatici più forti, ma ad essi va sempre accompagnata una psicoterapia, o almeno qualche forma di aiuto psicologico, da parte dello stesso psichiatra adeguatamente formato oppure di un altro professionista.
Psicomotricista: si è formato attraverso un apposito corso di laurea come Terapista della neuro psico motricità, e opera con i bambini. Il suo aiuto è il più indicato di tutti in caso di disturbi neurologici o sensoriali, ritardi cognitivi o motori, disturbi del linguaggio o dell’apprendimento.
La psicomotricità non va intesa però come una panacea per qualsiasi problema del bambino, né come un surrogato della psicoterapia. Difficoltà più legate all’emotività, alle relazioni e allo sviluppo affettivo vanno affrontate con l’aiuto di uno psicologo o di uno psicoterapeuta con esperienza e formazione specifica per i bambini.

Vi ho quindi descritto caratteristiche e differenze delle professioni “psi”, attorno alle quali c’è spesso un alone misto di confusione, curiosità e timore.
Queste sono le uniche professioni adeguatamente preparate per occuparsi della salute mentale.
Rivolgersi a loro non deve essere motivo di inquietudine, anzi, prendere questa decisione significa aver già compiuto una gran parte del lavoro verso la risoluzione dei problemi, e forse la più importante: ammettere l’esistenza del problema, accettarlo come parte di sé e riconoscere di avere bisogno di aiuto.
Congratulazioni se siete già a questo ottimo punto dell’opera.
Concludo ricordandovi che un professionista della salute mentale ha il dovere, durante il primo incontro e prima di stipulare anche solo a voce un contratto tra voi, di informarvi con precisione circa la propria formazione accademica e non, circa la propria scuola di pensiero e il proprio modo di operare. Domandate senza remore su questi punti, affinché la scelta consapevole del professionista a cui affidare voi stessi o il vostro bambino sia l’inizio di un nuovo modo di affrontare la vita da protagonisti.